Ormai i big data sono ovunque, tutti ne parlano: si tratta di una vera e propria rivoluzione che, fra le tante applicazioni che ha, potrà cambiare l’approccio dei Paesi in via di sviluppo ai problemi che li affliggono maggiormente. Pensiamo alle epidemie, all’approvvigionamento idrico o alla programmazione delle colture: i big data possono essere strumento di analisi e previsione.
Secondo Paul Szyarto, responsabile del Big Data Program alla Rutgers University del New Jersey, le infrastrutture tecnologiche necessarie per questi studi sono carenti e il progresso rischia così di rallentare. Sono molti però i Paesi in via di sviluppo che stanno cercando di organizzare e analizzare i dati per contrastare la povertà: in Kenya e in India, per esempio, si stanno raccogliendo dati sui modelli meteorologici per prevedere variazioni climatiche e aiutare gli agricoltori ad adattare le pratiche agricole; in Africa occidentale, invece, gli Stati stanno cercando di raccogliere dati sulla passata epidemia di Ebola, per tentare di individuare come e dove potrebbe accendersi un nuovo focolaio dell’infezione.
Se da un lato questo tipo di attività e analisi ha grande potenzialità e potrebbe aiutare a risolvere molti problemi, dall’altro è vero anche che “molti di questi Paesi non hanno dispositivi avanzati per raccogliere, archiviare e analizzare i dati”, ha dichiarato Szyarto. “Molti Paesi in via di sviluppo non hanno le conoscenze necessarie a guidare un programma a valore aggiunto sull’utilizzo di grandi dati. Migliorare le capacità di questi Paesi inizia con la comunicazione del valore di sfruttare i dati creati, raccolti e analizzati da parte dei Paesi sviluppati”.
Recentemente si è sentito parlare di come anche la telemedicina può essere di grande supporto in queste nazioni a dimostrazione che la tecnologia deve essere sfruttata in modo positivo e costruttivo, non solo nei paesi occidentali ma anche in quelli meno sviluppati.
Fonte: DHI